I cosmetici biologici ed ecologici sono la nuova frontiera del marketing che cavalca la moda in cerca di profitti. La definizione "bio" o "naturale" non significa sempre qualità migliore o più sicurezza. Mettiamo sotto la lente la lista degli ingredienti di diversi prodotti: non è sempre tutto così "naturale" come sembra. Guarda la gallery.
Un po' spinti da una nuova attenzione verso l'ambiente, un po' vittime di una pubblicità che strizza l'occhio ai prodotti di origine naturale, sono sempre più i consumatori che scelgono i cosmetici biologici o ecologici. Ma questi prodotti sono effettivamente migliori di quelli tradizionali? E le etichette sono sempre così trasparenti?
Definizioni basate su certificazioni volontarie I prodotti cosiddetti "naturali" dovrebbero essere composti esclusivamente o quasi da ingredienti di origine vegetale. Quelli "eco", invece, dovrebbero essere più eco-sostenibili, quindi formulati con più attenzione verso l'ambiente e quelli "bio", oltre ad avere gran parte degli ingredienti di origine vegetale, dovrebbero provenire da agricoltura biologica. Bisogna fare una premessa, però, che riguarda tutte queste definizioni, non regolamentate o riconosciute ufficialmente. Esistono però delle certificazioni volontarie, che prevedono precisi protocolli di produzione.
Naturale non significa più qualità e sicurezza Un prodotto che abbia una o più di queste certificazioni e che sia quindi un cosmetico "naturale" non è necessariamente più sicuro o migliore di altri. Tutti i prodotti cosmetici devono rispondere ai requisiti di legge previsti dal regolamento europeo (Re. Ce 1223/2009), siano essi “classici” o “eco-bio”: il produttore deve fornire documenti sulla valutazione della sicurezza, non devono essere contenuti ingredienti vietati, le concentrazioni degli ingredienti per cui sono previsti dei limiti devono essere a norma, le etichette devono contenere tutte le informazioni obbligatorie.
Un mercato confuso e poco trasparente Anche per quanto riguarda i prodotti “eco-bio” o “naturali”, perciò, i primi requisiti da soddisfare sono quelli previsti per legge, solo in seconda battuta (se il produttore lo desidera) vi sono degli altri requisiti più retrittivi, dettati appunto dai protocolli delle varie certificazioni. Visto il crescente interesse da parte dei consumatori e anche i più famosi marchi commerciali (spesso corrispondenti a marchi internazionali) hanno fiutato il possibile introito e hanno iniziato a cavalcare il trend proponendo prodotti più “verdi”, proposti con packaging e dichiarazioni molto fantasiose e che poco hanno a che fare con il “naturale” e l’”eco-bio”, così come viene inteso dai consumatori. A questo proposito, lo scorso anno hanno segnalato all’Antitrust il Bio-Oil, un prodotto per il corpo noto e venduto in farmacia, il cui nome faceva pensare a un prodotto “naturale” o “eco-bio”, nonostante la formulazione fosse a base di paraffina (paraffinum liquidum). Questo non è l’unico. Sono molti i prodotti che vestendosi di “verde” vantano in etichetta ingredienti di origine vegetale (come emollienti e idratanti per la pelle), facendo credere al consumatore che siano la base constituente della crema o dell’olio che si sta per acquistare. Talvolta a trarre in inganno è direttamente la denominazione del prodotto o della linea di prodotti.
A titolo di esempio, abbiamo raccolto alcune immagini che mostrano come i prodotti che cavalcano questo nuovo trend del "naturale" a ogni costo non sono pochi.
Le istituzioni devono intervenire per fare chiarezza In attesa che le istituzioni producano dei documenti che facciano chiarezza e che trovino criteri comuni, le certificazioni volontarie sono ciò che di più “ufficiale” c’è al momento in questo ambito. Si tratta di protocolli di produzione precisi che indicano nel dettaglio quali sono gli ingredienti e le procedure ammesse affinché un prodotto possa vantare l’apposito simbolo in etichetta e, di conseguenza, essere considerato “naturale” e/o “eco-bio”, a seconda del tipo di certificazione specifica.
Per un acquisto consapevole Attenzione alle bufale e ai falsi allarmismi che trovano in rete il terreno ideale per diffondersi a dismisura. Queste creano l’ambiente ideale per alcuni produttori furbi per creare opportunità di maggior guadagno, sfruttando la scarsa conoscenza del pubblico e le lacune della regolamentazione. Ne sono un esempio i vari claim “senza ...” oppure “0% ...”. Lo diciamo sempre: non è l’assenza di un ingrediente a decretare la buona qualità del prodotto, poiché un conservante ritenuto scomodo potrebbe essere sostituito con un altro altrettanto critico ma meno “noto” al grande pubblico.